Bioshopper i sacchetti per i prodotti freschi

Dal 1 gennaio 2018 sono diventati obbligatori i sacchetti compostabili e biodegradabili (“bioshopper”) idonei al contatto alimentare in sostituzione dei sacchetti di plastica. Devono essere usati per l’imballaggio dei prodotti di gastronomia, macelleria, pescheria, frutta, verdura e panetteria.

bioshopper

La decisione è stata presa per contrastare l’invasione della plastica che, come sappiamo, crea grandi problemi ambientali e riempie di plastiche i mari, in aggiunta all’introduzione qualche anno fa delle borse della spesa in materiale biodegradabile. In Europa, secondo gli ultimi dati diffusi dall’EPA, si stima un consumo annuo di 100 miliardi di sacchetti.
Ovviamente questi contenitori hanno un costo (indicato tra 1 e 5 centesimi, consigliato di 2-3 centesimi a pezzo) che comunque alcune catene di supermercati hanno deciso di non esporre ai clienti.

Ma tutto ciò ha scatenato l’attenzione generale e prodotto un boom di proteste e chiacchiericcio sui social. Ora, supponiamo che una persona usi 100 sacchetti all’anno, stiamo parlando di 2 euro in tutto. Raddoppiamo pure: si arriva a 4 euro all’anno. Un costo non spaventoso, anche se pur sempre un costo aggiuntivo.

Si sono poi moltiplicate le questioni relative agli interessi che ci stanno dietro, possibili favoritismi, tecnicismi, soluzioni alternative, vantaggi e svantaggi, ecc.
Vorrei notare che i sacchetti venivano usati anche prima del 1 gennaio, ma erano di tipo diverso. Se si vuole parlare di costi visibili od occulti, di “tassa”, è ingenuo pensare di parlarne solo ora. Le borse della spesa, di plastica, di carta, di materiale riciclato/riciclabile, vengono vendute da tempo e non regalate.
Personalmente ritengo che il punto di fondo sia la sensibilizzazione ai problemi dell’inquinamento dei sacchetti di plastica che usiamo (abbiamo usato) per 60 anni. E il modo migliore per far notare certe questioni è quello di colpire il portafogli. Anche in maniera molto contenuta, come in questo caso. E fra tutti i costi di cui veniamo caricati, questo mi sembra veramente il più modesto.

Ma c’è un ragionamento ulteriore da fare: la direttiva europea che definisce le regole sui sacchetti della spesa, dice:

Le misure adottate dagli Stati membri includono l’una o l’altra delle seguente opzioni o entrambe:
a) adozione di misure atte ad assicurare che il livello di utilizzo annuale non superi 90 borse di plastica di materiale leggero pro capite entro il 31 dicembre 2019 e 40 borse di plastica di materiale leggero pro capite entro il 31 dicembre 2025 o obiettivi equivalenti in peso. Le borse di plastica in materiale ultraleggero possono essere escluse dagli obiettivi di utilizzo nazionali;
b) adozione di strumenti atti ad assicurare che, entro il 31 dicembre 2018, le borse di plastica in materiale leggero non siano fornite gratuitamente nei punti vendita di merci o prodotti, salvo che siano attuati altri strumenti di pari efficacia. Le borse di plastica in materiale ultraleggero possono essere escluse da tali misure.

Quindi, a ben guardare, non c’è un obbligo che imponga di far pagare per i sacchetti, c’è solo nel caso si scelga di continuare ad usare sacchetti che non siano ecocompatibili.
Ovvero si devono fare pagare i sacchetti non realizzati in materiali ecocompatibili.

C’è però qualcosa che non capisco: nella composizione chimica è prevista una percentuale di carbonio che aumenterà gradualmente negli anni: si inizia con il 40% per poi aumentare al 50% nel 2020 e giungere a quota 60% nel 2021. Ammesso che questo componente sia rilevante nel caratterizzare la biocompatibilità dei sacchetti, perchè non realizzarli subito con la quantità massima possibile ? Non credo si tratti di problemi tecnici, essendo questi materiali perfezionati da una ventina d’anni, ma non ho trovato risposta.

 

 

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